Cappella di San Pantaleone

 

La cappella di San Pantaleone fu edificata nel corso del XVII come voto della Città di Ravello al santo patrono in seguito al terremoto provocato dall’eruzione del Vesuvio del 16 dicembre 1631. La costruzione si era resa necessaria per assicurare una più sicura e dignitosa collocazione alla preziosa reliquia del sangue di San Pantaleone, conservata fino a quel momento in un luogo denominato “finestra” a sinistra dell’altare maggiore.

In data 9 dicembre 1632 il notaio Andrea Battimelli redasse il contratto tra le autorità religiose, rappresentate dal vicario della cattedrale con alcuni capitolari, e i maestri marmorari, il fiorentino Francesco Valentino e il cavese Pietro Antonio Della Monica, che si impegnarono ad ultimare i lavori della nuovo corpo architettonico, realizzato dove erano l’altare del SS. Crocifisso e del Presepe, entro il mese di giugno dell’anno successivo: «fare e situare l’altare e finestra dove si ha da collocare il glorioso Sangue e Reliquie (…) due colonne de mischio, due basi bianche per l’istesse colonne, due capitelli, due basi per li pilastri delle colonne, due tavole di marmo verde antico de lunghezza de quarto palmi; quattro pezzetti de verde antico, quattro pezzetti de fiori de persico lunghi due palmi, una pietra per la predella dell’altare».

Nel corso della Visita Pastorale del 1643 mons. Bernardino Panicola dispose la demolizione del vecchio altare delle reliquie, la traslazione delle reliquie nella nuova cappella e la realizzazione di un doppio cancello in ferro, al fine di garantire la sicurezza della preziosa ampolla, custodita al centro del dossale marmoreo.

Nonostante le precedenti disposizioni, che lasciavano presagire un rapido completamento dei lavori nella cappella nuova, per la traslazione della reliquia bisognerà attendere il 16 maggio 1661, come testimonia un pubblico atto rogato nello stesso giorno dal notaio scalese Nicola Campanile. Le celebrazioni furono presiedute dal Visitatore Apostolico Onofrio de Ponte, Vescovo di Lettere, con l’assistenza del Capitolo della Cattedrale di Ravello, allora composto dall’Arcidiacono Crispino Battimelli, dall’Arciprete Pietro Manso, dal Primicerio Cosma Manso, dal Tesoriere Mattia Mosca, e dai canonici Carlo Mandina, Pantaleone Di Lieto, Nicola Camera, Silvestro Di Palma e Alessandro Di Lieto. L’amministrazione civile era rappresentata da Pietro Confalone e Andrea Fusco, Sindaco ed Eletto dei Nobili, e da Antonio Camera e Sabato D’Amato, Sindaco ed Eletto del Popolo.

La sacra visita condotta il 4 aprile 1665 dal vicario generale Antonio Savo de Panicolis attestava la presenza della preziosa reliquia all’interno del dossale marmoreo, fra due cancelli di ferro dorato, in un vaso antico ben ornato con una statua del martire. In quella circostanza si notò che le grate del cancello interno erano troppo larghe, per cui facilmente si poteva introdurre la mano e toccare l’ampolla. Il vicario, pertanto, ordinò «che entro due mesi ne fosse realizzato un altro più stretto per maggiore sicurezza».

Nella Sacra Visita del 1694 mons. Luigi Capuano (1694-1705) annotò la presenza del terzo cancello dorato a protezione dell’urna, apposto «a causa del pericolo che dalle mani del popolo possa essere toccato detto vaso vitreo». Il presule ordinò poi la costruzione del «reliquiario grande da l’una e dall’altra parte della cappella di San Pantaleone», cioè degli stiponi (con quattro chiavi) in cui riporre statue e altre reliquie. In quegli anni dovette essere apposta all’ingresso della cappella la grande cancellata in ferro battuto recante lo stemma del prelato.

L’accesso al reliquiario del sangue era costituito da due porticine chiuse con quattro chiavi conservate, secondo un’antica tradizione, dal vescovo, dal tesoriere del capitolo, dal sindaco dei nobili e dal sindaco del popolo.

Nel 1782, come risulta dal «Ristretto della spesa dell’urna della Sangue di San Pantaleone», fu realizzata una nuova urna in rame dorato per custodire custodita l’ampolla con il sangue di San Pantaleone. Realizzata dal gioielliere napoletano Sebastiano Jandolo, la cui firma è incisa su una delle lastre, essa è costituita da una edicola con cupoletta poligonale, delineata da palmette stilizzate. Nel corso delle operazioni si rese necessaria la rimozione della finestra retrostante il reliquiario per consentire la collocazione della nuova cassa in quello spazio angusto: «togliere anche la finestra ivi esistente per potersi cacciare l’urna vecchia e introdurvi la nuova».

In quella circostanza, inoltre, il pianerottolo della scala interna, fu ampliato e ornato con il paliotto marmoreo proveniente dall’antico altare che si ergeva sotto il ciborio. In corrispondenza di una graziosa cupoletta, decorata con elementi vegetali e delineata da cartigli e modanature su cui si stagliano teste di putti, si eleva il pregevole dossale in marmi policromi arricchito da angeli in marmo bianco. Quattro colonne sormontate da trabeazioni, convergenti verso un frontone spezzato, ne inquadrano la facciata. Al centro si ammira il dipinto raffigurante il martirio di San Pantaleone, legato ad un albero d’ulivo con al fianco il maestro Ermolao, opera eseguita nel 1638 dal pittore genovese Gerolamo Imperiali, come risulta da un protocollo notarile di Marco Livio Battimelli, reso noto da Matteo Camera. Un pittore giunto nel Viceregno come amministratore del feudo di Sant’Angelo dei Lombardi, che il noto collezionista Gian Vincenzo Imperiale era riuscito ad acquisire nel 1637. Le tele laterali, risalenti al secolo XVIII, raffigurano i santi Tommaso e Barbara mentre in alto è presente un quadro con il Bambino Gesù tra i simboli della passione del Cristo. Alla base delle colonne centrali sono presenti due stemmi della città sormontati dal patrono, a mezzo busto, con l’ampolla e la palma del martirio, apposti nel 1643 in quanto la cappella «fu anche costrutta del peculio pubblico e limosine dei cittadini».

Il prezioso paliotto d’altare è in mosaico fiorentino, commistione di marmi, alabastri e madreperla che svolgono temi floreali inquadrati da geometrie mistilinee. La grande arcata d’accesso, il cui intradosso è affrescato con scene della vita e del martirio del santo, è interamente chiusa da una cancellata in ferro battuto, che riporta in alto lo stemma di mons. Luigi Capuano.

Gli affreschi, riconducibili all’Imperiali, riproducono con veloci pennellate scene dai colori brillanti che raffigurano le guarigioni del paralitico, del cieco e due scene tratte dai supplizi, che il giovane medico dovette affrontare prima di giungere alla somma prova della decapitazione; un riquadro, purtroppo, è totalmente consunto. Alla base, una balaustra traforata in marmo bianco, con inserti in marmi di vario colore, é scolpita con le figure di San Pantaleone e Santa Barbara, compatrona della città.